CHI SONO
Nato in Maremma, classe 1941. Malgrado i tempi bui infanzia quieta, non infelice. Il sangue correva anche allora a fiumi ma a Massa giungeva solo l’eco della carneficina. Ricordo poco del ‘tempo di guerra’. Ho qualche sprazzo di memoria: il buio, fresco silenzio del rifugio durante i bombardamenti, uno spazio ricavato dentro una vecchia galleria sotto il Poggio, luogo dei giochi e delle merende d’estate.
Ho più ricordi dell’immediato dopoguerra: mia madre sarta, che cuce incessantemente a macchina e i coretti sottovoce delle sue apprendiste -“Vento, vento, portami via con te…”- le sartine stipate nella stanzina laboratorio nella vecchia casa di via Goldoni.
Quella stanzina proprio accanto al gabinetto, da dove sentivo con angoscia le crudeli risatine delle ragazze tornate improvvisamente silenziose durante le mie scomode e imbarazzate ‘sedute’.
La scuola media dove imparai il latino con quel bravissimo insegnante di Lettere che alla fine del terzo anno corse da mia madre a raccomandarsi che non mi mandassero all’istituto minerario perché ero troppo portato per il Classico.
Poi gli studi minerari, per quel destino familiare docilmente accettato come naturale pur in presenza già allora di una vocazione irresistibile all’aisthesis, alla percezione attenta, allo stupore di fronte alla forma, al colore, al segno, all’immagine insomma i ogni sua manifestazione, al bello prima e infine all’arte come suprema sintesi di quella percezione sempre più cosciente.
Una vocazione sbrigativamente classificata da chi mi cresceva come distrazione: sei sempre distratto! Stai attento! A cosa pensi?!
Poi, nel 1955, l’incontro con Oreste B. e la scoperta della pittura livornese: Fattori, Natali, Micheli, Modigliani… un universo di colore e materia che diviene subito rifugio incantato, orizzonte sfuggente e irresistibile in un mondo già allora fatto di ben altre sfide da raccogliere.
Ho ancora dentro di me i lunghi, faticosi ‘colloqui’ con questo goffo, povero pittore sordomuto, ricchissimo dentro, geniale e inconcludente, con il quale si stabilisce una solida sintonia intellettuale e che mi insegna una tecnica antica, tutti gli elementi di una disciplina rigorosa e collaudata, lo strumento prezioso per cercare di trasferire sulla superficie, per gli occhi propri e del mondo, quello che preme dentro.
Gli anni dell’adolescenza sono segnati da questo progetto, da questo sogno straordinario, incredibile. Non c’è tempo e spazio per nient’altro che non siano gli studi minerari e la pittura. Fino alla soglia dei vent’anni una sequela di mostre ‘giovanili’, di concorsi vittoriosi, una serie strepitosa di successi in quella provincia tranquilla, fuori dalla sempre più aggressiva e dilagante cultura industriale già allora in marcia verso le magnifiche sorti e progressive1 della modernità. Vivevo, incredulo, l’avvio di un vero percorso d’artista.
Ma di pittura non era facile vivere, allora come oggi, e così, allo scoccare dei vent’anni ecco il lavoro, quello vero: quarant’anni filati e intensi di carriera nell’industria che si concludono alle soglie del terzo millennio, quando le Lettere e la Filosofia chiedono con forza udienza e conquistano ogni spazio della mente per sei intensissimi anni di studi universitari a Verona.
E infine la pittura. Di nuovo e, finalmente, solo quella. Stavolta per ‘sempre’.